METROPOLIS GOLD

LE STRADE PARLANO D'ORO

La forza dell’umano

Questi progetti nascono da un’urgenza precisa: raccontare la parte coraggiosa

dell’essere umano.

L’esigenza è esplosa per la prima volta durante il mio periodo londinese, in un momento

storico segnato da tensioni, attacchi terroristici e paura diffusa. In quel contesto cupo e

fragile, ciò che più mi colpiva non era la paura in sé, ma la forza silenziosa con cui le

persone continuavano a vivere. Ogni volto, ogni gesto quotidiano aveva qualcosa di

eroico. Così è nato Metropolis Gold, un modo per scolpire quella forza nei volti urbani, per

dare luce alla dignità della sopravvivenza.

Da quel punto in poi, il mio lavoro si è mosso sempre più verso la celebrazione della forza

umana.

Non una forza muscolare o aggressiva, ma una forza interiore, resistente, spirituale, che

si manifesta nel modo in cui abitiamo il nostro corpo, affrontiamo il mondo e troviamo

bellezza anche nella lotta.

Questa sensibilità nasce da lontano.

Nasce nelle strade dei quartieri popolari, dove da ragazzi venivamo forgiati dal contatto

diretto con il mondo. Le strade erano fatte di leggi non scritte, di codici condivisi, di rispetto

guadagnato. In quegli spazi imparavamo a non piegarci ai contesti e alle dinamiche che ci

circondavano, a farci carattere nel silenzio, a trovare voce nei gesti, nella musica, nei corpi.

La passione, la tensione, la vulnerabilità, la capacità di adattamento: questi sono i tratti che

mi affascinano dell’essere umano. E sono questi che ho voluto raccontare nei progetti

successivi — da Chinatown, dove la figura della guerriera emerge con grazia e fermezza,

fino a Guerrieri, dove il corpo diventa scultura sacra, simbolo di identità, protezione e

trasformazione. Fino ad arrivare a Bloks, un ritorno alle radici, al ritmo e al

linguaggio della strada, dove l’identità si costruiva nel gesto e nel suono.

Celebrarli è diventato il mio modo di onorare ciò che spesso non si vede:

la fatica che ognuno porta dentro,

la forza che si cela dietro uno sguardo,

la battaglia silenziosa che è la vita stessa.

Questa mostra è un tributo a quella forza.

A ciò che siamo,

a ciò che siamo stati,

e forse — a ciò che potremmo tornare a essere.

METROPOLIS GOLD

Icone urbane tra ombra e luce

Metropolis Gold è un progetto che esplora l’intensità e la resilienza della vita urbana attraverso una tecnica di chiaroscuro digitale ispirata alla pittura classica. Le immagini sono costruite con contrasti decisi tra luce e ombra, scolpendo i volti nello spazio come se fossero statue di luce. Le ombre profonde e i riflessi netti aggiungono una drammaticità visiva che esalta imperfezioni e dettagli, rendendo ogni volto un archivio di esperienza.

Le pose sono solenni, quasi ieratiche, e raccontano una forza interiore combattiva. Gli sguardi sono intensi, carichi di sfida e resistenza, simboli della volontà di affermarsi nel caos della metropoli. I gesti delle mani — che accarezzano il viso o ne nascondono parte — introducono una dimensione più intima, suggerendo la vulnerabilità nascosta dietro la forza.

Ogni immagine diventa così un’icona della sopravvivenza urbana: un atto di presenza e dignità nel tessuto spesso ostile della città.

CHINATOWN

Grafismi d’anima tra meditazione e tensione

Con Chinatown, il linguaggio visivo si sposta su un registro differente: il bianco e nero denso e granuloso, dal forte impatto grafico, simula l’estetica dei vecchi manifesti, evocando un immaginario sospeso tra memoria e finzione cinematografica.

La protagonista della serie, una figura femminile ispirata all’archetipo della guerriera cinese, attraversa una narrazione silenziosa fatta di tre atti visivi: riflessione, difesa, attacco.

Riflessione: lo sguardo è abbassato, l’espressione raccolta; la lama sfiora il volto come uno specchio interiore. È il momento del pensiero strategico, della calma prima del confronto.

Difesa: le mani unite attorno al coltello creano una posa rituale, a metà tra preghiera e prontezza. Qui entra in gioco l’equilibrio tra protezione e preparazione, tipico della disciplina marziale orientale.

Attacco: lo sguardo frontale, diretto, attraversa la lama. L’inquadratura ravvicinata accentua la tensione, esprimendo determinazione e controllo.

Queste pose e atteggiamenti rimandano alla tradizione iconografica delle arti marziali femminili (Wuxia), in cui l’eroina non è mai solo un corpo in lotta, ma un simbolo di onore, intelligenza e sacrificio. Le immagini evocano inoltre lo Yin e Yang, dove la morbidezza dello sguardo contrasta con la durezza del metallo, in un dialogo costante tra vulnerabilità e forza.

L’uso della grana fotografica, della luce naturale attenuata e delle texture del vestiario (pizzi, collari rigidi) contribuisce a rafforzare un’estetica sospesa, quasi teatrale, che trasforma la figura in icona drammatica.

Guerrieri

Il progetto Guerrieri nasce come naturale evoluzione di una ricerca sull’umano iniziata con Metropolis Gold, quando vivevo a Londra in un periodo attraversato da tensioni, precarietà e attacchi terroristici. In quel contesto, ho iniziato a osservare — e a fotografare — i volti delle persone per strada: volti tesi, presenti, che ogni giorno affrontavano la città come se fosse un campo di battaglia. C’era paura, sì, ma anche una strana forma di dignità e fermezza. È in quei giorni che ho iniziato a percepire l’essere umano come guerriero urbano, capace di resistere, adattarsi, e trovare forza nella quotidianità.

Questa intuizione iniziale si è trasformata, nel tempo, in un’esigenza più profonda: raccontare l’essere umano non solo nella sua lotta esterna, ma anche nella sua lotta interiore. Il progetto Guerrieri indaga quindi soggetti che incarnano questa doppia dimensione: la tensione verso l’esterno e la centratura interiore. I loro corpi parlano, i loro sguardi meditano, le loro pose oscillano tra riflessione, difesa e attacco.

Non si tratta di figurazioni storiche o folkloristiche, ma di individui contemporanei che, attraverso il corpo, i rituali, gli ornamenti, evocano un’identità simbolica: quella del guerriero spirituale. Le piume, i metalli, i tatuaggi, i segni sul viso non sono travestimenti, ma estensioni di ciò che sono: strumenti di affermazione, protezione e trasformazione. Ogni elemento diventa parte di un linguaggio visivo che mette in connessione l’ancestrale con l’attuale, il rito con l’identità.

La luce, come già nei progetti precedenti, scolpisce i volti e ne fa icone. Il fondo scuro isola e amplifica ogni dettaglio, come in un tempo sospeso. Ma qui la narrazione si carica di spiritualità: mani che si stringono, occhi rivolti all’interno, gesti lenti, intensi, preparatori.

Guerrieri è un tributo a tutte le forme di resistenza e trasformazione. Non un’ode alla forza fisica, ma alla forza di esserci. Di abitare il proprio corpo, la propria identità, la propria vulnerabilità con fierezza. È il ritratto di una nuova umanità, dove il combattimento è spesso silenzioso, interiore, e profondamente autentico.

Bloks

Bloks è un progetto video che unisce tre elementi fondamentali: i palazzi popolari, i DJ con scratch analogico e gli MC’s. È un tributo visivo e sonoro agli anni ’90, a ciò che eravamo, a quel tempo in cui le discipline di strada non erano solo espressioni artistiche, ma veri codici di appartenenza, sopravvivenza e fratellanza.

È un richiamo diretto a una generazione cresciuta tra cemento e musica, che scendeva in piazza per condividere. Condividevamo parole, ritmi, battiti, ma soprattutto spazio, tempo e sguardi. I blocchi di periferia non erano solo confini geografici, ma laboratori vivi di creatività, ribellione e identità.

Nel video, i palazzi popolari diventano quinte teatrali, strutture dure che accolgono e riflettono la presenza dei corpi e dei suoni. I DJ lavorano sulla memoria: i loro scratch riportano in superficie frammenti di un passato ancora pulsante, manipolando vinili come se fossero strumenti rituali. Gli MC’s, con i loro versi, sono la voce collettiva di chi ha vissuto la strada come palestra di vita, di chi ha trasformato la marginalità in linguaggio e presenza scenica.

Screatch Bloks non è solo un omaggio nostalgico, ma un atto di testimonianza e memoria. È il tentativo di restituire valore a una cultura che ha formato corpi e coscienze, che ha insegnato l’importanza della presenza fisica, del gesto, della parola detta guardandosi negli occhi.

È un’opera che appartiene a chi c’era, ma parla anche a chi oggi cerca un’identità in uno spazio collettivo. Un invito a non dimenticare le origini, a ricordare che la forza nasceva proprio da lì: dal condividere il blocco, il beat, la voce.